19 dicembre 2010

"L’arte pubblica in Italia: lo spazio delle relazioni" - Testimonianza di Anna Detheridge

"Nella società disarmonica della tarda modernità, ogni artista è solo con la propria visione del mondo. Definito soltanto dal rapporto che stabilisce (o no) con ciò che normalmente viene definito il sistema dell’arte, le sue gallerie, giornali specializzati e il museo, ha la sensazione che la libertà assoluta di cui gode nell’elaborazione della propria poetica assomigli sempre di più a una esclusione o estromissione dal corpo sociale, e che la sua posizione rasenti l’isolamento. La sua attività soffre inevitabilmente di un mancato suffragio, e conseguentemente di consistenza. Épater le bourgeois, il committente collezionista, non ha più alcun senso.
Le rapide trasformazioni in atto che portano le persone a godere di una socialità vissuta fuori dall’ambito domestico in situazioni e luoghi che non hanno più le logiche di condivisione di un tempo, ma sono piuttosto di “attraversamento distratto” (dalle vie commerciali delle città, alle tangenziali, alla metropolitana, all’aeroporto, all’ospedale, agli uffici pubblici, ai luoghi di lavoro), riposizionano il senso del fare artistico. Nasce l’esigenza sentita da molti artisti di ritrovare un dialogo con un committente diverso, di esplorare una realtà che ponga finalmente dei vincoli, quelli dell’ascolto e delle richieste provenienti non più dal collezionista, ma da una committenza che prospetti interventi creativi per la collettività. I luoghi della ricostruzione di socialità sono piuttosto ai margini della società e nascosti nelle pieghe del particolarismo, negli interstizi tra luoghi e persone senza volto nel mondo mediatico autoriferito.
Non si tratta in realtà di un progetto utopico, anche se impropriamente di utopia si è molto discusso, ma piuttosto di un nuovo realismo, intento a rilevare realtà quotidiane celate sotto l’immensa coltre della comunicazione commerciale. Le finalità dell’arte relazionale nella sfera pubblica non sono propriamente politiche ma più semplicemente “demofone” e cioè mirate a fornire un terreno neutro d’incontro e dar voce e visibilità a chi ne è sprovvisto.
Alcuni artisti trovano le radici della loro prassi artistica nell’attivismo degli anni 60 e 70, ma la maggior parte esprime una consapevolezza diversa, un bagaglio culturale e sentimentale apolitico e tutt’altro che militante. Nemmeno si può parlare di estetica relazionale, termine coniato in Francia per un’estetica ludica che in quanto “estetica” non possiede come principio del proprio agire l’esigenza di un confronto reale tra le parti ...
... Gli interrogativi sui quali chinarsi sono innanzitutto la qualità e il senso della democrazia oggi a cominciare dal nostro Paese, l’autonomia e la funzione dell’arte. Il paradosso che “Lo spazio delle relazioni” spalanca è il seguente: l’unico modo per l’arte di ritenere la propria autonomia oggi non è quello di farsi prassi dentro il corpo sociale?
Da almeno dieci anni si moltiplicano le iniziative fuori dal circuito delle gallerie e che hanno poco a che fare con la produzione di opere nel senso più convenzionale. Nell’aprile del 2000 alla Royal College of Art a Londra si è tenuta una mostra intitolata democracy in cui si è tentata una prima ricognizione internazionale di quelle pratiche artistiche e curatoriali che non sono intese come prodotto, ma come processo, mettendo in mostra ciò che non è destinato in prima istanza all’esposizione. Il titolo democracy è un punto di partenza per esaminare da vicino il senso del rapporto tra artista, spettatore e committente. Si riesamina lo status sociale dell’arte, i suoi significati reconditi, le sue ambizioni, i suoi pubblici...
...Esattamente come lo sviluppo sostenibile, anche “l’arte sostenibile” si fonda su una contabilizzazione del valore della vita civile e di relazione. L’obiettivo finale è di fornire un contesto al lavoro pubblico degli artisti, segnalando il ruolo delle nuove forme di mediazione, e, in fin dei conti, delle istituzioni. Le scelte di questi ultimi saranno determinanti nella ricerca di soluzioni rispettose della vita collettiva delle persone, per salvaguardare e ricucire i rapporti tra le parti sociali, e per guidare i processi di trasformazione e di rigenerazione urbana in un’ottica di negoziazione e di superamento dei conflitti." 

Anna Detheridge

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