16 dicembre 2010

"Arte per il territorio" - Testimonianza di Michele Costanzo

"La diversa sensibilità con cui l’umanità tende in epoca contemporanea a confrontarsi con la realtà che la circonda, ha prodotto nel campo dell’arte, come effetto omologo, un diverso modo di essere dell’oggetto estetico, e l’idea di poter entrare in comunicazione con esso attraverso criteri e modalità del tutto nuove; e questo, attraverso una variegata gamma di espressioni, di manifestazioni che hanno come obiettivo comune il coinvolgimento ‘emotivo’ degli spettatori.
In tale differente condizione, che fa seguito ad una generale crisi del sapere e delle certezze che finora avevano segnato l’individuale tracciato esistenziale, l’utente (diversamente dal passato) non attende più dall’opera risposte ad interrogativi su valori generali trascendenti o, come riflesso più circoscritto, sul senso del proprio esistere, ma piuttosto prende atto della realtà con cui ciclicamente si confronta, entrando in contatto con i materiali artistici in forma diretta, immediata cercando di tessere insieme ad essi un genere di rapporto tutto rivolto verso il piano della sensibilità e del sentimento, piuttosto che verso quello logico/riflessivo, caratterizzato, ora dall’osservazione della banalità, della normalità, della quotidianità dei fatti immediati, ora dall’approccio ad aspetti della vita di tipo edonistico, ludico, o fantastico.
A tutto questo bisogna aggiungere il fondamentale ruolo assunto, nell’ansiosa condizione del presente, dal dinamismo impresso in forma generalizzata al vivere sociale, che ha portato come conseguenza più o meno diretta a considerare la contemplazione come una forma d’improvviso arresto del ritmo dell’esistere, una sorta d’intollerabile “perdita di tempo” da cui sembra possibile ricavare solo paura, o angoscia.
A seguito di ciò, l’arte non si pone più come un’entità irraggiungibile, imperfettibile, al di fuori del flusso temporale, ma come forma d’espressione che tende a scendere al livello della coscienza ordinaria, per cui in un certo senso essa viene ‘offerta’ in modo che possa essere afferrata dal fruitore per integrarla nella propria coscienza, o nel contesto fisico a cui è destinata. Così alla spettacolare po­tenza dell’espressione, che un tempo apparteneva al mondo della raffigurazione, all’insinuante, rapinoso fascino che l’immagine artistica ha sempre cercato di trasmettere di sé, si è andata sostituendo una valenza di genere evocativo che consiste nell’indirizzare l’attenzione di chi guarda non più verso la percezione del messaggio ideale-for­male contenuto nell’opera, quanto piuttosto nel suo proporsi come evento e, quindi, come coinvolgimento e spettacolo.
In questo senso, per l’arte contemporanea bisogna considerare una diversa reazione percettiva e una differente risposta interpretativa da parte di chi osserva, in rapporto a due situazioni distinte: ossia rispetto all’opera in sé, considerata come entità autonoma, astratta dall’ambiente di riferimento, e alle presenze materiali che definiscono lo spazio in cui, nelle diverse occasioni che si presentano, essa trova luogo. In questo secondo caso, l’ambiente interagisce con l’opera, e chi osserva è indotto, in tal modo, ad elaborare significati sempre nuovi. L’intervento espositivo, concepito il più delle volte fuori degli schemi tradizionali (per destare sorpresa e interesse), stimola la fantasia interpretativa del riguardante, anche aldilà delle intenzionalità stesse dall’autore.
Da tale considerazione emerge un dato distintivo dell’arte contempora­nea, che è la tensione indirizzata non più al raggiungimento di un significato univoco dell’opera, ma piuttosto all’arricchimento della sensibilità e della fantasia di chi la fruisce. L’arte in questo modo punta al “farsi del significato”, che è un’espressione spesso impiegata per esprimere in forma icastica le profonde implicazioni, che mette in luce nel rapportarsi con la realtà e con gli stessi molteplici aspetti che la costituiscono. Significato, che tende a raggiungere il suo compimento, in senso formale e concettuale, attraverso un serrato intreccio di relazioni, sviluppate fra artista, pubblico, opera e luogo, anche se tutto questo può portare ad un esito non necessariamente stabile nel tempo. L’ambiente, in questo caso, è la dimen­sione concreta in cui l’oggetto artistico vive, e da cui trae ‘alimento’, ed è, altresì, il decisivo termine di confronto nel processo di ‘riconoscimento’ del suo significato.
Le elaborazioni spaziali più interessanti e singolari della nuova architettura museale, gli allesti­menti più eclatanti delle mostre, per non parlare delle strutture che gli artisti realizzano in ambienti che potremmo definire ‘impropri’ (in quanto originariamente creati per assolvere ad altre finalità funzionali), o all’aperto in ambienti urbani, o in spazi naturali, non sem­brano voler più esprimere quella volontà di “riappaesamento” che, ancora negli allestimenti museali degli anni Ottanta, rappresentavano il tentativo di risarcimento del mitico paesaggio perduto della ‘contemplazione dell’arte’, quanto piuttosto quello della ricerca di reciproche influenze/interferenze (magari in base a modalità del tutto nuove e inesplorate) con le diverse forme in cui si materializza il mondo circostante, e con i molteplici aspetti della vita quotidiana.
Tali rapporti relazionali possono avere luogo (anche se con fondamentali, intrinseche differenze), sia nel vibrante silenzio e nella spoglia semplicità di uno spazio geometricamente ordinato che, all’opposto, in confusi, dissonanti, caotici ambienti, in cui vige la compresenza del molteplice. Tutto questo può indifferentemente attuarsi nel processo percettivo tramite le accese diversità cromatiche di certe rappresentazioni, o la netta distinzione/separazione tra le opere esposte mediante l’impiego di sapienti pause, o serrate scansioni ritmiche, o attraverso la diversificazione visiva della lontananza/vicinanza, o infine, lasciando che nello sguardo rivolto all’opera, agiscano imponderabili fattori quali l’improvviso cambio di luminosità del cielo (a seguito del movimento delle nuvole), o la ciclica mutazione quantitativa/qualitativa dell’intensità della luce nell’arco stagionale. Di tutte queste problematiche (che sembrano costantemente sottrarsi alla comune consapevolezza) si nutre l’arte d’oggi, per la sensibilità acquisita nei confronti della varietà/diversità dei caratteri ambientali, derivanti dalle caratteristiche fisiche (in senso tradizionale) dello spazio-contenitore interno/esterno, ed anche dagli stessi criteri espositivi impiegati per organizzare, dislocare i materiali artistici negli specifici ambiti riservati all’esposizione."

Michele Costanzo

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