30 dicembre 2010

"Sull'incontro" - Testimonianza di Alberto Garutti

Un'ulteriore testimonianza sull'arte pubblica per chiudere il 2010 in bellezza: "Sull'incontro" di Alberto Garutti. Le due immagini si riferiscono all'installazione "Che cosa succede nella stanza quando gli uomini se ne vanno?", sedie laccate con smalto fosforescente. L'artista immagina che all'interno di una stanza, in assenza di esseri umani, "gli oggetti, le cose, i mobili possano percepire la luce del giorno e della notte, sentano suoni e rumori provenire da luoghi vicini o lo squillo del telefono risuonare nella stanza...".

"Le forme e le condizioni del vivere contemporaneo stanno rapidamente cambiando e l’arte, prima e sensibile interprete del mondo, parallelamente ad esse muta i suoi modi e le sue strutture, formali e soprattutto istituzionali.
La società della comunicazione veloce, quindi della multiculturalità e della stratificazione, si consuma e vive oggi la condizione del tempo presente come luogo di sintesi perfetta tra passato e futuro, guidando l’arte a nutrirsi della realtà della vita, spazio fisico in cui il tempo reale (il presente) trova la sua unica espressione.
L’artista si accorge così dell’obsolescenza del tempo sospeso e della condizione stessa (di chiusura) del museo, forma “astratta” da un mondo in cui la gente ha trovato proprio nell’incontro, tra persone e tra pensieri diversi, la modalità più necessaria del vivere.
Credo che il dialogo con lo spettatore, da sempre alla base dell’esistenza dell’opera stessa, venga ad assumere un ruolo ancora più importante adesso, in un momento in cui l’arte ritorna a vivere nello spazio pubblico, in stretto legame con la realtà della vita, quindi con l’architettura, i contesti pubblici, i media e soprattutto un pubblico che non è più quello selezionato del ristretto sistema artistico.
Le grandi opere d’arte non si raccontano mai nella loro interezza all’occhio dell’osservatore; portatrici di senso e significati molto complessi ci sfuggono, contenitori di futuro, prodotti di una visione così obliqua e laterale propria dell’artista, da diventare interpretazioni e sguardi scardinatori del mondo contemporaneo.
Dove trovare allora la verità dell’opera ?
Proprio nell’andare verso di essa, nella ricerca continua dello spettatore (che è in latino colui che si muove verso), nella relazione-incontro che egli intesse con questa forma inafferrabile, e proprio per ciò inesauribile, che è l’opera stessa.
È proprio alla luce di queste considerazioni che sento importante la dimensione dell’incontro all’interno del lavoro dell’arte, sia nella sua forma più “classica” (museale), che in quella contemporanea operante nel mondo urbano e sociale (post-museale). Anche le città, apparentemente freddi e cinici organismi in mutazione solo secondo caratteri funzionali , nascono e si sviluppano a soddisfare proprio un bisogno di relazione che non esito a definire una necessità, un bisogno sentimentale.
Continuo allora a vedere nella figura dell’artista che è il primo vero spettatore, un interprete di questa nuova modalità dell’incontro tra umanità e pensieri di cui la società contemporanea sente forte l’esigenza.
Ma per fare ciò l’artista deve essere capace di scendere dal celebrativo piedestallo che il sistema dell’arte gli ha costruito , pena la progressiva e fatale emarginazione dalla società.
Se infatti l’artista è adottato dal grande museo perché da lui ricava pubblicità e risonanza mediatica, l’artista che incontra la città ha un’occasione straordinaria per ridare valore e forma etica all’operazione artistica; nell’approccio sentimentale con quell’umanità (alterità) che non è il pubblico dell’arte, ma più in generale la gente.
Sento di dover scendere da quel piedistallo che proprio lo status di artista mi concede così da dare vita ad un dialogo in cui l’opera sia protagonista e diventi il vero legame tra me, il mio intervento e il contesto urbano e sociale.
Addirittura sostengo quanto non sia importante che il mio lavoro sia riconosciuto da tutto il pubblico come opera d’arte, ma che venga sentito dalla gente come sguardo nuovo e bello su una realtà a loro vicina.
Quelle opere che si impongono nei luoghi della vita quotidiana senza una riflessione critica minima sul tema dell’intervento in spazi pubblici, appaiono vecchie non tanto dal punto di vista formale, ma da quello metodologico, e perdente nei confronti di quella realtà con la quale il mondo della comunicazione e quindi l’arte in varie forme si stanno misurando.
Definisco proprio per questo la mia opera un lavoro anche di metodo e sui procedimenti del fare. Il percorso realizzativo (l’insieme delle connessioni con la realtà) e il processo mentale che si antepongono alla realizzazione fisica del lavoro risultano così parte integrante e perciò non meno importante dell’opera stessa.
I cittadini ascoltati, sentiti e toccati si trasformano così in committenti reali di un lavoro finalizzato alla loro stessa utilità, sentimentale e concreta, forse proprio senza riconoscere in questa modalità l’antica forma utile che l’arte ha sempre recitato nello scenario della vita.
Sono allora proprio i vincoli e le limitazioni imposte da questa “nuova forma di committenza” a generare nuove strade e imprevedibili sviluppi del pensiero; dunque se la realizzazione fisica del mio lavoro in fondo si nasconde silenziosamente nella città e nel territorio l’intervento che io definisco “sentimentale” invece vuole superare quella sterile stabilità che nasce dalla mancanza di volontà comunicativa tra artista e contesto, e si impone come protagonista proprio perché desidera essere capito, compreso e amato dagli stessi “committenti”.
è sbagliato pensare a questa modalità del fare come al frutto di una strana e inutile forma di demagogia populistica; considero l’importante valore etico da sempre insito nel “piacere artistico” e guardo al tema fortissimo dell’”incontro” come ad una metafora della destabilizzazione, dell’incertezza e quindi del progresso e dell’apertura."

Alberto Garutti

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